Immagine

THYSSENKRUPP

L’inferno si scatena nel dicembre di dieci anni fa. Un tubo di olio che si rompe, una scintilla e la linea 5 della Thyssenkrupp di Torino che si trasforma in un fiume di fuoco. Un operaio muore sul colpo, altri sei perderanno la vita nei giorni seguenti.
Uno dopo l’altro, mentre le polemiche sulla sicurezza si mescolano alla rabbia e al dolore dei famigliari delle vittime di una delle più sconcertanti tragedie sul lavoro degli ultimi tempi.

Accade nella notte fra il 5 e il 6 dicembre 2007. Prima qualche innocua fiammella, poi un incendio, un’esplosione, un’ondata di fuoco, operai trasformati in torce umane. Antonio Schiavone muore quasi subito. Agli altri – Roberto Scola, Angelo Laurino, Bruno Santino, Rocco Marzo, Rosario Rodinò e Giuseppe De Masi – toccano giorni, o settimane, di straziante agonia.

Per Torino, uno dei vertici del triangolo industriale del Nord Ovest, è come un pugno allo stomaco. Impossibile concepire un incidente tanto grave in una delle sue fabbriche più conosciute, quella della famosa acciaieria tedesca. Sono giornate di lutto, di dolore, di una rabbia che si scatena già ai funerali, quando i dirigenti vengono insultati all’ingresso della Chiesa, i fiori delle corone strappati e buttati per terra.

Il sindaco, che all’epoca era Sergio Chiamparino, annulla i festeggiamenti in piazza per il Capodanno. E la commozione è grande anche nel resto del Paese. “L’anno finisce davvero male”, commenta l’allora presidente del Consiglio, Romano Prodi, a Torino per i funerali di uno degli operai morti in quella che definisce la “tragedia sul lavoro più grave degli ultimi anni“.

La sicurezza è un bene di tutti, non individuale“, aggiunge annunciando una stretta sulle norme.

Il governo accelera il varo del Testo Unico delle leggi sulla sicurezza sul lavoro, che vede la luce nell’aprile 2008. Il regista Mimmo Calopresti dedica alla vicenda un film, ‘La Fabbrica dei Tedeschi’. Antonio Boccuzzi, l’unico sopravvissuto all’incidente, viene candidato alla Camera dall’allora segretario del Pd Walter Veltroni; siede da allora in Parlamento ed è nella Commissione Lavoro della Camera.

L’inchiesta coordinata dal pm Raffaele Guariniello e dagli altri magistrati del suo pool, Francesca Traverso e Laura Longo, viene condotta a tempo record. Nel gennaio 2009 si apre il processo in Corte d’Assise, prima tappa di un complesso iter giudiziario, nel quale non sono mancati i colpi di scena, che si conclude nel maggio 2016, quando la Cassazione conferma le condanne nei confronti dei sei imputati, tra cui l’ad Harald Espenhahn, a pene tra i 9 anni e 8 mesi e i 6 anni e 3 mesi.

E restituisce un po’ di giustizia ai famigliari delle vittime, risarcite con 13 milioni di euro: mamme, vedove e sorelle non hanno mancato una sola udienza. Mai. “Thyssenkrupp è profondamente addolorata che in uno dei suoi stabilimenti si sia verificato un incidente così tragico. Faremo il possibile affinché tale disgrazia non accada mai più”, è il commento alla sentenza definitiva dell’azienda. Per gli imputati italiani si aprono le porte del carcere; Espenhahn e l’ex consigliere Gerald Priegnitz, invece, sono ancora liberi in Germania. Nelle scorse settimane il ministro, Andrea Orlando, ha chiesto che la sentenza venga recepita e eseguita. Per rispondere dopo dieci anni alla richiesta di giustizia dei famigliari delle vittime.

 

Video: L’accusa ha presentato al processo Thyssen un video realizzato da esperti in cui si ricostruisce l’incidente e il successivo incendio alla Thyssen di Torino

Immagine

STORIA | Il disastro di MARCINELLE

Il disastro di Marcinelle avvenne la mattina dell’8 agosto 1956 nella miniera di carbone Bois du Cazier di Marcinelle, in Belgio, provocando la morte di 262 persone delle 275 presenti, in gran parte emigranti italiani.

Si trattò d’un incendio, causato dalla combustione d’olio ad alta pressione innescata da una scintilla elettrica. Un addetto ai carrelli fa risalire nel momento sbagliato un montacarichi, che sbatte contro una trave metallica che va a squarciare un cavo dell’alta tensione, una conduttura dell’olio e un tubo dell’aria compressa.

L’incendio è immediato e micidiale, non lascia scampo, anche perché in quel complesso di antica estrazione (dallo smantellamento più volte rinviato) tutte le strutture sono ancora in legno. Il sistema di sicurezza è inchiodato all’ottocento. Non sono in dotazione nemmeno le maschere con l’ossigeno e così quasi tutti moriranno soffocati dall’ossido di carbonio, di concerto col lavorio infame delle fiamme. Soltanto dodici i superstiti.

Le operazioni di salvataggio dureranno due settimane, al cospetto di una folla disciplinata e sgomenta: i parenti di chi è rimasto sepolto per sempre nel sottofondo delle viscere della terra. Pregano le centinaia di mogli e figli; invocano, invano, Santa Barbara. Il 23 agosto, l’annuncio ferale: “Sono tutti morti”. Gli ultimi li hanno rinvenuti a 1.035 metri di profondità. Abbracciati gli uni agli altri. Solidali e impavidi fino all’ultimo respiro.

Ci furono due processi, che portarono nel 1964 alla condanna di un ingegnere (a 6 mesi con la condizionale). In ricordo della tragedia, oggi la miniera Bois du Cazier è patrimonio Unesco.

Marcinelle è un luogo di dolore, ma sempre di più anche di speranza, perché anche da qui è partito il processo dell’integrazione europea, che ha prodotto libertà e diritti, assicurando la dignità e la sicurezza del lavoro come uno dei suoi principali obiettivi.